Una psicologa sopravvissuta ai lager ci insegna a superare i traumi del passato attraverso la resilienza

libro La scelta di EdithCi sono pezzi della nostra storia, “nostra” in quanto tutti accomunati dal minimo comune multiplo dell’essere esseri umani, che vorremmo dimenticare o chiudere in qualche cassetto della memoria da non riaprire mai più. Eppure questo sarebbe un doppio errore, in primo luogo perché vivere senza memoria significherebbe perdere gli insegnamenti che inevitabilmente ci lasciano gli sbagli commessi e, in secondo luogo, significherebbe rifiutare quanto è insito nella storia dell’umanità  ossia che alcuni accadimenti si ripetono.

In psicologia si chiama “coazione a ripetere” ossia una tendenza incoercibile e del tutto inconscia, a porsi in situazioni incresciose o dolorose, senza essere consapevoli di averle attivamente determinate, né del fatto che si tratta della ripetizione di vecchie esperienze. Rispetto alla storia dell’umanità, invece, il filosofo, storico e giurista Giambattista Vico sviluppò la teoria dei “corsi e ricorsi storici”, secondo cui appunto determinati eventi ed accadimenti vengono ciclicamente riproposti ossia la storia inesorabilmente si ripete. Ecco allora che nonostante la ferocia e la terribile ferita lasciata dalla Shoah accade ripetutamente che, da qualche parte, qualcuno sulla base di una presunta superiorità etnica o razziale odi, perseguiti, faccia la guerra a qualcun altro o si proponga l’obiettivo di eliminare totalmente un popolo dalla faccia della Terra.

Ci sarebbe allora da chiedersi cosa abbiamo imparato grazie alla storia e dove va a finire in certe circostanze l’umanità intesa come solidarietà, comprensione, indulgenza verso il prossimo. La risposta, forse, risiede proprio nella condizione dell’essere umano, fragile e vulnerabile per natura, che fa fatica a mettere da parte se stesso, le proprie paure, il proprio ego, i propri demoni, le proprie ombre, rischiando di perdere la sua sostanza di “essere sociale”, come affermava Aristotele nel secolo IV a.C.

“La scelta di Ediht di Eva Eger”, edito da Corbaccio e pubblicato per la prima volta nel 2017, è un libro che riporta all’essenziale. L’autrice psicologa, ballerina, ebrea ungherese, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, sceglie a 90 anni di narrare il suo trauma della deportazione e decide di farlo a modo suo, lasciando un messaggio di speranza e di bellezza che va oltre l’orrore, la tragedia e il dolore, tessendo i fili della narrazione e mettendo al centro l’importanza del qui e ora, dell’atomo temporale, che conduce fuori dal labirinto del passato e orienta al futuro.

L’autrice narra la sua storia prima della deportazione, la storia del suo primo amore e di una famiglia, la sua, del tutto normale, fatta di delusioni, di incomprensioni, di piccole gelosie fra sorelle, una vita scandita da banali concitazioni di cui normalmente sono intessute le vite di tutti e che dopo la deportazione assumeranno un significato diverso, rappresenteranno un’armonia, malgrado tutto, dalle cui correnti lasciarsi trasportare. E’ il 1944 ed Edith, allora sedicenne, in una notte qualunque viene deportata con la sua famiglia, condotti fuori dalla loro casa, intraprendono il viaggio verso un campo di internamento e successivamente ad Auschwitz.

La loro inconsapevolezza permette loro di sperare fino alla fine di essere destinati ad un luogo di lavoro magari anche duro ma non di tortura e di morte. L’arrivo ad Auschwitz è per Edith qualcosa di immondo che segnerà per sempre la sua vita ma, grazie alla sua resilienza, anche un punto abbastanza ampio e profondo da rappresentare un nuovo inizio, un nuovo modo di guardare al mondo e all’esistenza. I genitori della giovane ballerina vengono inviati subito alla camera a gas dall’efferato medico nazista Josef Mengele, freddo e totalmente privo di empatia e compassione, soprannominato “angelo della morte”, che chiede ad Edith di ballare per lui sulle note del valzer Sul bel Danubio blu ma lei, mentre danza, sente nella sua mente soltanto la sinfonia di Romeo e Giulietta di Cajkovskij e si sente libera al contrario di ciò che pensa della mente miserabile, oscura, ingabbiata e senza speranza di Mengele.

Il viaggio negli inferi di Edth è guidato da una frase che torna nei suoi momenti più oscuri, quelli più vicini alla morte: “Se sopravvivi oggi, domani sarai libera” ed è così che la ragazza riuscirà ad ancorarsi indissolubilmente al momento presente e a sopravvivere attimo per attimo insieme alla sua compagna di viaggio la sorella Magda.

Più tardi uscita da Auschwitz e tornata alla vita normale comprenderà che “la sopravvivenza è una questione di interconnessione ed è impossibile sopravvivere quando si è soli”.

Molto interessanti nel suo libro sono le narrazioni delle sedute con i suoi pazienti, infatti, trasferitasi negli Stati Uniti dopo la guerra, ha studiato psicologia e, unendo le sue competenze professionali alla sua personale esperienza, si è specializzata nella cura di pazienti affetti da disturbi da stress post-traumatico: reduci di guerra, donne che avevano subito violenza, persone che soffrivano per un proprio personale trauma. Per Edith, la psicologa, la professionista, non esiste un dolore che abbia più dignità di un altro, “non esiste una gerarchia della sofferenza” perché ciascuno vive “il peggiore dei campi di concentramento nella propria mente” e la libertà e la guarigione iniziano quando impariamo ad accettare totalmente ciò che è stato e ciò che è.

Leggere “La scelta di Edith” della dottoressa Eger significa fare un tuffo negli abissi dell’esistenza in cui sentimenti, paure, errori, rabbia, dolori, gioie, si susseguono e sta a noi accettarli e sceglier sempre di essere liberi di amare e di imparare i passi per la grande danza che è la vita in cui tutto nasce e tramonta in cicli piuttosto ravvicinati ma offrendo sempre la possibilità al nostro sguardo di coglierne l’unicità e la bellezza.

Gabriella Magistro