Grazia è nata nel 1931 da una famiglia piccolo borghese, genitori entrambi impiegati. Si diploma ragioniera, vorrebbe fare l’università (va molto bene a scuola, le piace studiare) ma le condizioni economiche della famiglia non glielo consentono: di buon grado rinuncia e trova subito lavoro. Si fidanza a 21 anni, si sposa a 25 con quello che sarà, ed è tuttora anche se non c’è più, il grande amore della sua vita, un uomo che la ama e la stima. In accordo con lui lascia il lavoro e accetta di fare la casalinga per permettere a lui di fare carriera, continuerà per molto tempo a “tenere i conti” di alcune ditte a casa, sia per arrotondare le entrate di famiglia che perché le piace. Con la stessa scrupolosità e soddisfazione “tiene i conti” e la gestione della sua famiglia, prima un figlio poi due, poi tre, nel frattempo i suoceri che vengono a convivere.

Pasti, lavatrici, compiti, camicie stirate, diete e incontri con gli insegnanti, malattie infantili e non: infaticabile, organizzatissima, dice di sé stessa di essere “premeditata”, fa ironia sulle proprie manie di efficienza che conducono comunque a ottimi risultati.

All’Istituto Tecnico ha imparato stenografia e dattilografia, i conti sulla partita doppia con la carta carbone e le schede, le spunte sui lunghi rotoli delle piccole calcolatrici meccaniche: quello sa fare e continua a fare, velocissima e concentrata, come continua a scrivere a mano tutti i conti di casa sulle agende che si compra o le regalano anno per anno, ordinatamente, con una calligrafia minuta e precisa e un grande sorriso di soddisfazione quando “tornano” al centesimo come piace a lei.

Il suo amore, con il suo fondamentale supporto, si laurea (“ci siamo laureati”, dice lei, e ride: e lui annuisce guardandola con rispetto) e fa un’ottima carriera come desiderava e desideravano: a capo di un piccolo istituto di credito di provincia, lo conduce a essere una della prime banche informatizzate d’Italia, ma in casa non entra mai un computer, né per lui né per lei. La prima figlia prende una strada molto diversa dai genitori, il secondo segue le loro orme e lavora in banca, il terzo è un piccolo (e poi grande) genietto informatico: a parte le consolle del bambino prodigio, e poi i suoi Mac quando studia all’università, il bando all’informatica persiste, il padre confina i calcolatori nell’ambito lavorativo, a casa cataloga certosinamente a mano tutta la ricca biblioteca, mentre Grazia continua imperterrita a scrivere i suoi conti su schede e agende.

Se ne vanno i suoceri, prima l’uno poi l’altra, e se ne vanno, anche se in un altro senso, i tre figli: infine, troppo presto, se ne va l’uomo della sua vita. Grazia rimane sola in una casa troppo grande che testardamente non vuole lasciare, aggrappandosi alle sue routine, premeditando giorno dopo giorno spesa e lavatrici e continuando a riempire di numeri le sue agendine: piccoli, rassicuranti numeri esatti che tornano, almeno loro tornano. Si alza, fa colazione, pulisce, fa la spesa, tutti i giorni va al cimitero a portare i fiori a suo uomo e a tenere in ordine la tomba: nel pomeriggio legge, fa i cruciverba e i sudoku per “mantenere oliate le rotelle” visto che ha il terrore della demenza. Piano piano perde autonomia, malattie alle ossa, al cuore… non perde mai la lucidità.

A un certo punto della storia i figli le impongono un cellulare, uno bianco, piccolo e semplice che lei chiama “la saponetta”: da brava luddista fa resistenza, decreta che il suo “aggeggio” deve solo telefonare e (massima concessione) mandare sms, in un primo momento lo tiene quasi sempre spento “sennò suona”, ride come una matta quando le fanno notare che glielo hanno comprato per poter comunicare e se lo tiene spento è un problema. Si convince a tenerlo sempre acceso e a portata di mano solo dopo un paio di episodi in cui si sente male. I figli non ci provano nemmeno, i numerosi nipoti tentano più volte di entusiasmarla al mondo dei computer: con la lucidità e la competenza logica che ha, sarebbe un gioco da ragazzi, ma nulla, testarda come un mulo spara tutta la sua serie di pregiudizi, si rifiuta categoricamente di prendere in considerazione l’ipotesi e consulta la voluminosa Rizzoli – Larousse se non trova le soluzioni delle parole crociate.

A fine 2019 una congiura di palazzo le regala uno smartphone: una tragedia, si mette persino a piangere e dice che sono cattivi, che ha paura, che lei è vecchia e non può assolutamente imparare a usarlo. L’oggetto è stato scrupolosamente scelto e configurato dal più grande dei nipoti, che con grande pazienza la consola, la istruisce, la blandisce e riesce a farglielo digerire. A Natale la situazione è ancora abbastanza ingessata, piano piano ci scende a patti e inizia a divertirsi. Arrivano i primi messaggi whatsapp con le classiche frasi sconclusionate del traditore T9, si rifiuta ancora di usare la fotocamera ma gradisce molto le foto che le arrivano da figli e nipoti sparpagliati per ogni dove. La prima volta che riceve una videochiamata whatsapp si impressiona molto e riattacca, poi la chiamano i nipoti e allora per i nipoti cosa non si fa…

E arriviamo al Coronavirus e alla quarantena.

Grazia rimane in casa da sola, con una badante con la quale ha un rapporto di fredda cortesia. Nessuno può andare a trovarla, perché non si può e per non metterla in pericolo. Telefonate, certo: ma la solitudine si fa sentire. La figlia maggiore le propone le videoconferenze di famiglia, convinta che si irrigidirà e dirà di no (si sa, no, come vanno i rapporti madre figlia… anche per lo smartphone era stato necessario studiare accuratamente la strategia comunicativa, aggirare le resistenze usando i nipoti). Invece Grazia questa volta cede facilmente: vuoi la voglia di sentirsi vicine le creature a cui ha dedicato tutta la vita, vuoi il fatto che si è resa conto di avere tutti i numeri per gestire questi che considerava trabiccoli infernali, accetta di buon grado di mettersi alla prova.

Inizia una esilarante fase preparatoria che passa per la badante straniera e non molto perspicace che deve capire come installare l’app che serve alle chiamate multiple, seguita da vari tentativi di connessione con telefono fisso e smartphone per entrare nel meccanismo, in sé semplicissimo ma per Grazia assolutamente marziano, di cliccare sul link e inviare la richiesta di partecipazione. Dopo un paio di prove individuali si passa a una prima prudente conferenza a 5 connessioni (nonna, figlia, genero, due nipoti, tutti in luoghi diversi della Toscana) per poi passare trionfalmente a una con tutta la famiglia affacciata agli schermi, per un totale di 10 device connessi corrispondenti a 21 persone tra gli 11 e i 70 anni.

Grazia ne ha 89 ed è raggiante. Parla, parla, sorride. Impara a mettere lo smartphone orizzontale per farsi vedere meglio, non impara mai a spengere il microfono per evitare i ritorni di voce ma pazienza. In compenso se la connessione salta, buona buona torna su Whatsapp e click, ricompare e continua a parlare e ascoltare mangiandosi con gli occhi tutti i suoi “bimbi” che non può toccare. E poi chiede “quando è che ci rivediamo” (quando lancio le conferenze è sempre la prima ad arrivare, e l’ultima ad andare via).

Non occorre avere 89 anni per farci bloccare dalle credenze sulle quali fondiamo la nostra sicurezza: e per contro neanche a 89 è vero che la nostra storia è scritta una volta per tutte. Come psicoterapeuta, penso con affetto e dispiacere a molti dei miei pazienti, anche in giovane età, prigionieri di convinzioni su sé stessi, sugli altri o sul mondo, convinzioni infondate e limitanti alle quali tendiamo ad attaccarci come salvagente contro l’ansia, spesso con il risultato di aumentarne l’intensità. Perdere alcuni di questi punti fermi ci appare equivalente a perdere l’identità, l’orientamento, i contorni.

Eppure siamo molto più ricchi, flessibili e capaci di quello che abbiamo imparato a pensare di noi stessi.

Niente di onnipotente, per carità: solo umana resilienza, innata tendenza all’adattamento e all’apprendimento, curiosità e voglia di continuare a vivere. Anche molto, molto avanti negli anni. E basta sorreggere con delicatezza e decisione questa competenza, anche se a volte impolverata e spiegazzata, per vederla riattivarsi e fiorire in tante maniere diverse. 

 

 

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