Con il presente testo, vi propongo di accompagnarmi in un viaggio nella mia fantasia, in cui mito e Analisi Transazionale si intrecciano e si evolvono insieme, attraverso una doppia lettura del mito di Dioniso.

Il termine mito deriva dalla parola greca “mythos” che significa parola, racconto. Nel linguaggio moderno con la parola mito intendiamo indicare un qualcosa di straordinario, irraggiungibile, lontano dalla realtà (il mito del successo; il mito del progresso; un cantante/attore mitico); ma, se andiamo a rintracciare il significato primario di tale termine, esso rinvia alla sacralità della parola che comunica – narra – descrive eventi. Non appena gli uomini hanno iniziato a comunicare tra loro, hanno cercato di usare la parola per fornire, attraverso il racconto, spiegazioni e insegnamenti relativi al proprio mondo e alle proprie esperienze, elaborate sotto forma di miti e leggende. Complesse narrazioni di tipo religioso avevano la funzione di fornire un’interpretazione dell’origine del mondo e dei fenomeni naturali, di cui gli antichi avevano e facevano esperienza ma che non si sapevano spiegare (i viaggi di Apollo per portare il sole in cielo e il giorno all’umanità; il moto delle stagioni con il mutare delle emozioni di Demetra; il mito di Aci e Galatea per raccontare la nascita della Valle dell’Aci, in Sicilia; e così via).

Il mito racconta, inoltre, le azioni compiute da divinità ed eroi leggendari, protagonisti di vicende straordinarie con lo scopo di fornire modelli di comportamento affinché potessero costruire valori condivisi; ed il mondo della tragedia è terreno fertile per il mito.

Nei tragici il mito, che per definizione fornisce risposte senza formulare perché, viene manipolato per proporre incessanti perché.

È il segno dei tempi che cambiano.

E’ un nuovo bisogno quello che guida la mano dei tragici: il bisogno di raccontare e raccontarsi. Concentrano tutta l’attenzione sull’eroe ma con una nuova sfumatura, mettendolo in discussione dinnanzi al pubblico e presentando la sua vicenda con tutte le sue contraddizioni. Non è, dunque, l’eroe mitico di per sé che interessa ma, piuttosto, attraverso il dibattito viene scandagliata la condizione di ogni uomo concreto e reale, vivente, con le sue passioni ed i suoi errori, con le sue gioie ed i suoi terrori, con il suo sfiorire ed il suo morire (Barbero 1999).

Vi è come un passaggio, dunque, dall’esterno verso l’interno, dalla spiegazione passiva dei fenomeni naturali, alla descrizione attiva del tumulto interiore dell’uomo: l’intrapsichico.

Vi parlo di “descrizione attiva” perché il racconto della tragedia prevedeva il coinvolgimento attivo del popolo. I versi non venivano più semplicemente letti come in passato, nella tragedia venivano recitati, con lo scopo di coinvolgere emotivamente le donne e gli uomini che accorrevano numerosi alle festività della poleis. Ed in effetti, la grande intuizione del popolo ellenico fu quella di comprendere che per poter arrivare al pubblico bisognava passare dal canale emotivo. Rappresentare la tragedia, anziché leggerla, significava mettere a diretto contatto l’uomo che osservava lo spettacolo con il tumulto interiore dell’uomo che era rappresentato[1].

[1] “funzione paiedeutica del teatro”: attraverso il teatro gli aristocratici educavano i cittadini di ogni ceto sociale, alle questioni importanti della vita affinché, nel momento in cui sarebbero stati chiamati a dire la propria sulle questioni della polis (importanza della democrazia) avrebbero potuto dare il loro libero consenso.

La forma stessa del teatro aiutava allo scopo, niente a che vedere con il carattere serioso e aristocratico delle odierne rappresentazioni teatrali, la cornice era piuttosto simile a quella di un attuale concerto rock. Gli spettatori sedevano, gli uni accanto agli altri, in un contatto fisico che trasmetteva a tutti le emozioni di ciascuno. Quindi, stimolati dal tumulto emotivo che veniva portato in scena, vi era questa condivisione emotiva in cui ognuno sentiva l’emozione dell’altro, si creava come un calderone emotivo che necessariamente colpiva le corde interne dei presenti, che poi tornavano a casa con un complesso processo di autoriflessione.

La cornice era quelle delle Grandi Dionisie, le festività dedicate al dio Dioniso (ibidem).

Ma Dioniso non è un dio olimpico; Dioniso è un dio diverso, di una diversità sconcertante.

Sebbene nato dalla coscia di Zeus, Dioniso è un dio sostanzialmente estraneo al pantheon olimpico. In una delle poche citazioni di Omero sul dio, si legge “così Semele generò Dioniso, letizia per gli uomini” da cui si deducono due informazioni fondamentali:

  • Che è figlio di una donna mortale, dunque un semi-dio;
  • Che è letizia per gli uomini.

Il termine letizia potrebbe avere due significati: da un lato può essere riferito al vino, bevanda a lui sacra, che per natura porta allegria nell’uomo; dall’altro però, sappiamo che uno degli appellativi del dio è “Lieo”, cioè colui che scioglie dai condizionamenti morali e teorici della normalità (Ingrillì, 2004).

Leggendo questi primi versi su Dioniso fantastico e immagino un’esigenza nuova da parte del popolo ellenico, sempre così ligio al dovere, rispettoso delle regole e della morale, sempre alla ricerca di principi etici da incarnare: il desiderio di “pensare” e ricercare una parte un po’ più libera, divertente, naturale che permetta di vivere l’aspetto giocoso della vita.

Tutto questo viene incarnato da Dioniso, un semidio o meglio un dio semi-mortale. Un ponte, dunque, tra ciò che attiene al divino e ciò che attiene al mortale, elementi ben scissi nella società dell’epoca.

Dioniso è un dio nuovo, diverso, un dio sconcertante, un dio “che arriva”. Nelle Baccanti di Euripide, che comincia con il prologo di Dioniso, la prima parola che si legge è <<exo>>, <<eccomi, sono arrivato>>.

Egli si presenta al popolo ellenico come uno “straniero”, che porta con se qualcosa di straordinario.

Dioniso non arriva da solo: si porta dietro uno sconcertante seguito di donne folli, le Menadi, che compiono i riti indicibili abbandonandosi alle danze selvagge.

L’arrivo di Dioniso è un’irruzione improvvisa che sconvolge la normalità.

Impossibile resistergli. Ovunque arrivi egli si impone. Il suo arrivo è un’epidemia divina.

Di fronte a questo dio nuovo, tuttavia, proprio perché così irruento, i greci risposero con un atteggiamento ambivalente: nella maggior parte delle città i regnanti vietarono i suoi riti orgiastici, soltanto ad Atene Dioniso sarà accolto con un incontro che si rivelerà assai fecondo (ibidem).

Questa contrapposizione e ambivalenza mi sembra proprio il ponte di congiunzione con l’Analisi Transazionale.

Continuando nella mia fantasia, mi sembra di scorgere da un lato il desiderio della scoperta del nuovo, l’entusiasmo verso qualcosa di vitale, passionale, sicuramente sconvolgente ma anche molto attraente; dall’altro, un divieto assoluto di lascarsi andare, un divieto di pensare e di godere di quella sensazione di “tensione positiva”. Un conflitto dunque, tra il Genitore ed il Bambino; un conflitto tra due poli: un’impasse.

Quasi sempre nella definizione di impasse si sottolinea la condizione di blocco, di immobilità. Nella visione classica dei Goulding (1976) di impasse come blocco, l’impasse si caratterizza per la presenza di forze, polarità opposte che proprio per la loro carica contrapposta finiscono con il bloccarsi a vicenda.

Tale condizione di immobilità nasce da un conflitto interno, rappresentato da una voce genitoriale che pretende <<si fa così!>> contrapposta al risentimento emotivo del Bambino che risponde <<non voglio più fare così>>. Questo dialogo così intenso, tanto mi ricorda la voglia di incontrare il nuovo che Dioniso porta e che si scontra, però, con le condizioni morali di “come si è sempre fatto”. D’altronde, ricordiamoci che la Grecia di quel tempo era una società in cui vigeva l’ideale della “Kalokagathia”[2].

[2] Kalokagathia: Kalós kái agathós – letteralmente bello e buono –  sono i caratteri della bellezza secondo la concezione greca arcaica. Bellezza, forza, onore e coraggio sono i tratti fondamentali dell’eroe omerico donati dalla divinità: il valore del corpo, la prestanza fisica sono uniti alla lealtà, alla virtù, in quanto l’estetica presenta l’etica.

Dioniso ed i suoi riti portavano esattamente l’opposto: ci si abbandonava alla pura passione, l’estasi, concentrato di pulsioni. In una società così razionale, vissuta da pensatori e filosofi che si interrogavano sulla “via media”, si dava e si chiedeva sempre più spazio per ciò che era puramente emotivo (G vs B).

Proseguendo nella mia fantasia, attraverso il racconto delle testimonianze sull’espansione del mito dionisiaco, vediamo che tuttavia Dioniso ed i suoi riti non si sono fermati dinnanzi al divieto dei regnanti di <<non entrare>>[3]; anzi, dentro quello stallo vi era racchiusa una carica energetica potenziale che continuava a spingere per venir fuori.

[3] Basti pensare alla fortunata espansione di vitigni e del vino sia come luoghi geografici che come simbolo culturale.

Ed ecco allora che torna il parallelismo con l’Analisi Transazionale ed il salto in avanti che la teoria dell’impasse fa: non più solo come blocco, ma blocco che all’interno contiene una tensione evolutiva che spinge verso la scoperta di questo potenziale. Gerosa (2013) ci dice che lungi dall’essere una condizione di bassa energia, l’impasse si caratterizza per la presenza di forze, polarità opposte che proprio per la loro carica contrapposta finiscono per bloccarsi a vicenda. In fisica, se si applicano due forze di uguale direzione e intensità ma verso opposto, un oggetto rimane fermo; questo può essere un modo di vedere l’impasse, fermandosi al risultato, che è l’immobilità. Cambiando metafora, tuttavia, se si considera la pila elettrica, ad esempio, è la presenza stessa di due poli opposti, positivo e negativo, che genera il flusso di elettroni, quindi l’energia elettrica. Queste due metafore rappresentano al meglio due modi differenti di guardare all’impasse: impasse come blocco o come polarità?

Little (2011), con le sue unità relazionali, ci dice che il rapporto B-G è la rappresentazione interiorizzata di una precedente esperienza tra se e l’altro. Queste rappresentazioni sono legate dall’affetto. È l’intera relazione ad essere stata interiorizzata come schema relazionale. La grandezza di questa visione come dialogo tra Unità Relazionali mette in luce da un lato le istanze del BL con l’espressione dei suoi bisogni, dall’altro la presenza di un GA che porta gli aspetti di permesso e protezione propri di un genitore “sufficientemente buono”, fondamentale nel sostenere le istanze ed i bisogni del BL.

Attraverso queste premesse, la Gerosa (2013) continua la sua riflessione e propone una nuova denominazione dei 2 poli: Homo Editus ed Homo Absconditus. L’homo editus è quella parte di noi che si è già plasmata e modellata «all’interno della cultura in cui è avvenuto il nostro sviluppo formativo» (Balducci, 2005). La parola editus, in italiano “stampato, pubblicato”, rende l’idea: è la parte di noi che conosciamo, che facciamo coincidere con la definizione di noi, fino a dire “non riesco a essere/fare diversamente”, o addirittura (nell’impasse di III tipo) “sono sempre stato così”. L’homo absconditus è la parte di noi che ancora non conosciamo, la potenzialità da scoprire, la nostra «umanità nascosta, costituita da quelle possibilità umane che non hanno trovato traduzione nella cultura in cui ci si è plasmati e modellati».

Balducci (2005) usa anche la parola “ineditus”, per questa parte che abbiamo dentro di noi, che non è ancora stata pubblicata, stampata, resa visibile. È tenuta nascosta, dimenticata, o semplicemente ancora non esplorata.

Ciò che io ho letto nel mito di Dioniso, e che oggi condivido qui con voi, è proprio questa spinta evolutiva e propositiva, aggressiva e brutale forse in alcuni momenti ma, proprio per questo, vitale e che spinge verso l’esplorazione del nuovo. Una spinta che porta le donne ad abbandonare le case e le loro vite così come erano state designate (Editus) per abbandonarsi alla mania mantica, alla follia che da sapienza e che apre alla verità, alla possibilità (Absconditus).

Il termine <<Menade>>[4] significa folle, ma la follia delle Menadi è una follia che offre conoscenza, una follia sacra; e, Dioniso è il dio dell’epifania ovvero della conoscenza istantanea e intuitiva, estatica e spasmodica, in tal senso la divina mania è soprattutto una forma di conoscenza. Inoltre, la sapienza dionisiaca è orgiastica, dove l’orgiasmo consiste nell’assenza di distanza, una conoscenza comune che non è comunicabile con le parole ma in modo istintuale ed instantaneo; si realizza in un gesto, in un’azione condivisa non in un discorso.

[4] Dal greco “mainomai”

Ed è così che le Menadi, le donne dunque per prime, si sono lasciate andare al rituale dionisiaco, avendo accesso alla “follia” che dà conoscenza, al Dioniso Lieo, colui che scioglie dai condizionamenti teorici e morali della normalità, che impediscono la visione autentica dell’essere se stessi.

Come dicevamo pocanzi, è stato possibile energizzare le istanze e le richieste del BL con il permesso del GA per una piena esplorazione di se e di se con l’altro, per poter essere nel mondo liberi nell’espressione di sé, senza adesione a ruoli, reali e/o immaginari, che si possono esperire nella dimensione lavorativa, nelle amicizie, nell’amore: nella relazione con l’altro.

Giungendo, infine, alla conclusione del mio viaggio fantastico, vi chiedo: ed in fondo la nostra vita cos’è se non quel teatro di cui parlavamo all’inizio? Un luogo gremito di gente, in cui viene rappresentato un qualcosa che in ogni caso ci lascerà un insegnamento. Qualcosa che toccherà le nostre corde emotive e noi, tutti vicini come in un concerto rock, staremo lì a sentire e condividere l’emozione con l’altro e nell’altro; consapevoli che a questo calderone di emozioni potremo rispondere in due modi: chiuderci nell’editus, quindi nella sicurezza di ciò che sappiamo, ancorati al passato, fermi nel conosciuto; oppure, aprirci all’absconditus, permettendoci il patrimonio di possibilità nascoste che attengono al nostro futuro.

E’ nella relazione con l’altro, nella condivisione dell’emozione, che ci permettiamo di scoprire le nostre possibilità.

 

Bibliografia
Balducci, E. (2005). La terra del tramonto. Saggio sulla transizione. Firenze: Giunti Editore.
Barbero, L. (1999). Civiltà della Grecia antica. Milano: Elemond S.p.A. – Editori Associati.
Gerosa, S. (2013). I poli dell’impasse. Una prospettiva integrativa. Quaderni di Psicologia, 59, 20-66.
Goulding, R., Goulding, M., (1976). Injunctions, decisions and redecisions. Transactional Analysis Journal, 6, 1, pp. 212-19.
Ingrillì, F. (2004). I cerbiatti di Dioniso, Capo d’Orlando: Ermes dei Parchi.
Little, R. (2011). Impasse clarification within the transference Countertransference matrix. Transactional Analysis Journal, 41, n.1.