In questo periodo di minaccia e sospensione a causa del COVID-19 ci è permesso sicuramente di riflettere, osservare, fermarsi. Nel mio caso mi sono data il permesso scrivere… Ho un pensiero ricorrente in questi giorni di reclusione, una riflessione che parte dagli ultimi aggiornamenti professionali fatti, in cui si sottolineava quanto il cervello umano neonatale possa svilupparsi maggiormente in seguito a molteplici stimolazioni date dal contatto corporeo (essere tenuti in braccio, massaggio infantile, uso di marsupio o fasce…) e come tutte queste pratiche siano essenziali per aumentare le connessioni neuronali e generino una maggiore attivazione nei neonati stessi.

Soffermandomi sull’esperimento di Harlow sui macachi e sulla teoria dell’attaccamento di John Bowlby, studi che mostrano l’importanza del contatto corporeo nella costruzione di un legame affettivo, ho riflettuto su quanto siamo “deprivati” in questo momento storico. È vero che in questa epidemia da Coronavirus i nostri bambini non sono deprivati della madre o dei genitori, anzi, la maggior parte è sicuramente più arricchita dalla loro presenza, stando insieme ventiquattrore su ventiquattro, come mai prima d’ora… ma che impatto avrà su di loro la privazione di tutti gli altri legami di attaccamento e di riferimento? Che cosa comporterà vivere in uno spazio vitale così ridotto, quando fino a oggi siamo stati educati alla cultura e alla società gruppale come aspetti fondamentali per il nostro accrescimento?

Bowlby sosteneva che “la privazione materna potrebbe compromettere seriamente la salute emotiva dei bambini.”. Cosa potrebbe comportare nei nostri figli la privazione di tutti gli affetti che non siano prettamente i genitori (nonni, zii, insegnanti, compagni, amici, allenatori…)? E ancora, che conseguenze avrà la privazione di tutti i nostri contesti sociali privilegiati, se questa pandemia non dovesse esaurirsi in tempi brevi? Che impatto avrà tutto questo sulle nostre menti, ma soprattutto sulle menti dei nostri figli e sul loro modo di relazionarsi in futuro?

Harry Harlow, psicologo statunitense, decise di verificare la teoria dell’attaccamento di John Bowlby con un esperimento con scimmie Rhesus. In questo periodo mi è venuto quasi quotidianamente in mente questo esperimento, osservando i miei figli e talvolta avendo proprio chiara la percezione che sono/siamo come in una gabbia, una gabbia dorata, è vero, fatta di tanti privilegi e comodità, ma comunque chiusa a chiave.
Harlow separò i cuccioli di macaco dalle madri e li mise in gabbie assieme a due oggetti: un biberon pieno che avrebbe garantito nutrimento, e un peluche che assomigliava a una scimmia adulta, la quale non avrebbe fornito alcun tipo di sostentamento ai cuccioli. Lo studioso voleva scoprire che cosa avrebbero scelto i cuccioli e verificare, non solo la teoria dell’attaccamento, ma anche la realtà dell’amore incondizionato. L’esperimento dimostrò che i cuccioli preferivano il peluche. Questo permise ad Harlow di confermare l’importanza della relazione e dell’attaccamento dei cuccioli alla loro figura di riferimento.

Ma lo studioso non si fermò a questo primo esperimento, decidendo di andare oltre e fare un’ulteriore verifica, che sempre più si addice e sembra predittiva di quello che noi ci troviamo a sperimentare in questo periodo. Rinchiuse i cuccioli di scimmia in spazi sempre più piccoli, in cui avevano solo da bere e da mangiare, così da osservare il loro comportamento in assoluto isolamento. Molte scimmie rimasero chiuse per mesi in queste piccole gabbie, cosa che se volessimo riadattare alla realtà attuale, ci fa pensare a chi vive in spazi piccolissimi, monolocali, senza giardino o terrazze, magari soli, come persone anziane vedove… Le scimmie vennero private di qualsiasi stimolo sociale e sensoriale, cominciando a mostrare, col tempo, alterazioni nel comportamento a causa della reclusione. I macachi che rimasero reclusi per un periodo prolungato finirono in uno stato catatonico, erano passivi e indifferenti a tutto e tutti. Quando le scimmie rinchiuse raggiunsero l’età adulta, non riuscirono a relazionarsi con i loro simili in modo corretto. Questo esperimento chiarì, e la mia mente crede fermamente che potrebbe chiarire ancora, che la necessità dei cuccioli, come dei bambini in questo momento, andava e va oltre il bisogno di nutrizione e di riposo. Per uno sviluppo sano, le scimmie preferivano dare priorità al “bisogno di contatto e di calore corporeo” rispetto al bisogno alimentare.

Il piacere del contatto corporeo gratifica, nutre e soddisfa.

Questo studio spiegherebbe anche come mai dopo un primo momento di entusiasmo e piacere dato da una vita più rallentata, lo stare a casa insieme, cucinare, dedicarsi ai propri hobbies o all’attività fisica… l’umore stia oscillando e gradualmente calando e i bisogni di ciascuno non vengano più soddisfatti a pieno, le restrizioni alle quali siamo sottoposti ci pesano di più… Inoltre, Harlow ipotizzò, ma Spitz lo confermò con studi successivi, che la privazione di uno stimolo sociale nelle prime fasi di vita portasse le scimmie a perdere interesse per le relazioni negli anni successivi o quando veniva data loro l’opportunità di coltivarne una. Infatti Spitz dimostrò in una ricerca su bambini istituzionalizzati o ospedalizzati deprivati di contatto, che essi non avevano a livello neurologico il collegamento adeguato tra corteccia cerebrale e diencefalo, connessione fondamentale affinché il bambino possa sperimentare in modo adeguato la relazione emozionale e viscerale tra il proprio mondo interno e la realtà circostante.

Sono consapevole che questi studi siano molto più estremi rispetto alla realtà che stiamo vivendo, ma ritengo sia molto importante porre l’attenzione alla prima infanzia in un momento come questo per cercare di prevenire alcune difficoltà, sulla base di tutti gli studi e le consapevolezze acquisite fino ad oggi, e potenziare le risorse. La cosa che ci rincuora sicuramente molto in questa fase, in questa attesa indefinita, è la capacità del nostro cervello di essere plastico, capace di adattarsi in situazioni di stress e resiliente (Solomon, 1988). Spesso, i bambini sono più elastici e capaci di noi adulti di adattarsi e di trovare il lato positivo nelle situazioni.

Quello che possiamo fare in questi giorni, in cui abbiamo molto più tempo a disposizione, è “stare” e osservare i nostri bambini, per cogliere eventuali segnali, tenendo in considerazione le loro possibili difficoltà nel verbalizzare e comunicare cosa pensano, cosa sentono, cosa temono…

Inizialmente questo tempo a casa poteva essere percepito come una vacanza, vista la sospensione della scuola, ma con il passare dei giorni ha smesso di esserlo. Se, infatti, noi adulti, pur con enormi difficoltà e resistenze, stiamo cominciando ad abituarci alla situazione, creando forme di lavoro a distanza o facendo cose che non avevamo mai il tempo di portare a termine, è possibile che i bambini inizino a scalpitare e mostrare segni di insofferenza a questa chiusura forzata in casa. Quindi è possibile che sentire frasi come: “Mi mancano i miei amici….”, “Non mi piace fare la lezione così, non ho voglia…”, “Io questo Coronavirus lo odio…”, “Non può venire nessuno a pranzo o a cena qui da noi…”, oppure domande riguardanti il difficile bilanciamento tra il bisogno di sicurezza ed una volontà di adattamento “Perché non possiamo andare dai nonni?”, “Perché voi uscite per andare a fare la spesa e noi non possiamo uscire?”, “Perché non possiamo andare neanche al parco?”. Oppure ancora, se non ci sono stimoli da parte loro così diretti ed espliciti, possiamo osservare delle espressioni diverse nei loro occhi, possono isolarsi di più, avere delle piccole crisi di rabbia o pianto, cambiare attività molto spesso, avere qualche comportamento regressivo, tipico in un momento di cambiamento improvviso e radicale come questo. Non allarmiamoci se osserviamo comportamenti insoliti, richieste particolari per la loro età (lettone, collo, ciuccio, abbracci, stai con me…), lamenti o capricci più frequenti, ricordiamoci le teorie sopracitate, i bambini, ma direi anche la parte bambina di ogni adulto, hanno bisogno di contatto fisico, verbale e ludico.

Noi genitori per aiutare i nostri figli necessitiamo di ricreare una gestione del tempo simile a quella presente a scuola, rispetto alle loro età, ovviamente con l’inserimento di nuove routine condivise e di contatto, visto che siamo spesso tutti insieme. Sarà necessario l’uso della tecnologia in questo momento, con una doppia valenza: la didattica a distanza da un lato e la possibilità di mantenere i contatti con tutta la nostra rete sociale esterna attraverso videochiamate singole, di gruppo, playstation… Sarà importante creare spazi e momenti anche privi di tecnologia, riscoprendo il piacere di cucinare tutti insieme e organizzare serate a tema (serata hamburger, serata pizza, serata fish & chips); fare ginnastica insieme organizzando percorsi ludico-motori in casa, terrazza o giardino, magari sfidandosi genitori e figli o a coppie, genitore-figlio; riscoprire anche il piacere di scegliere un film da vedere tutti insieme sul divano, oppure leggere un libro, o ancora un gioco da tavolo con il quale trascorrere l’intero pomeriggio, cosa che generalmente è possibile solo nelle vacanze di Natale…

Ai genitori suggerisco anche di ritagliarsi in questa nuova routine familiare degli spazi propri, individuali (coltivare o rispolverare hobbies, passioni e bisogni lasciati da parte per mancanza di tempo), ma anche dei rituali di coppia (il momento aperitivo prima di cena, o il momento tisana dopo cena, oppure una serie televisiva che appassioni entrambi…). Dal punto di vista emotivo, infine, i genitori possono cercare il più possibile di accogliere i loro bambini, riconoscendo il loro sforzo, esprimendo quanto sono stati e sono bravi, perché non è facile riuscire a stare sotto una campana di vetro, che da una parte li protegge, ma dall’altra lascia molto di ciò che per loro è importante tagliato fuori. Non ci sono amici, non ci sono feste, i giochi al parco, la scuola, la fila per due, gli spintoni, le rincorse, i batti cinque dopo aver fatto goal, canestro o dopo aver fatto un saggio di danza, non ci sono abbracci che consolano…

Sarà importante aiutarli nella comprensione che questa “campana” così restringente non sarà permanente ma potrebbe tornare ad essere necessaria. Il potere supportivo e trasformativo di noi genitori sarà quello di fare da “ponti” capaci di aiutarli a restare connessi con il mondo e le relazioni che ci vedono “uniti, ma a distanza”. Riscopriamoci, ristrutturiamoci, coccoliamoci e restiamo in contatto per tollerare al meglio questo momento e dar più valore ai nostri legami e alle nostre relazioni!

 

Bibliografia
Harlow H. “La natura dell’amore” (1958), American Psychologist, 673-685.
Spitz R. “Il primo anno di vita del bambino”, Giunti-Barbera, Firenze, 1972.
Bowlby J., Schwarz L. (1999) “Attaccamento e Perdita 1: l’attaccamento alla madre”, Boringhieri Torino.
Bowlby J. Schwarz L. (2000) “Attaccamneto e Perdita 2: la separazione dalla madre”. Boringhieri Torino.
Bowlby J., Schwarz L. (1999) “Attaccamento e Perdita 3: la perdita della madre”. Boringhieri Torino.
Leboyer F., (1976) “Shantala: l’arte del massaggio indiano per far crescere bambini felici”.
Solomon R. M. (1988) Post-shooting trauma, Police Chief, October, pp. 40-44.

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